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mercoledì 10 febbraio 2016

MDD e gli over 50 senza lavoro e pensione



"Signor ministro del Lavoro, che fine hanno fatto le misure da lei più volte annunciate, ma sempre rinviate, per il reinserimento lavorativo degli ultracinquantenni e per anticipare il pensionamento degli over 55 che non riescono più a rientrare? (...)
Chi vi scrive è una di quel mezzo milione e più persone che hanno perso il lavoro dopo i 50 anni e ora sono troppo vecchi per ritrovarlo e troppo giovani per andare in pensione. Persone che - almeno quelle che conosco - le hanno provate tutte, disposte ad adattarsi, senza puzza sotto il naso, perché il lavoro è dignità umana e sociale, indipendenza economica, libertà personale; ma che alla fine si sono dovute rassegnare e hanno smesso di cercare. Nel mio caso, poi, oltre la beffa costituzionale (articolo 4: la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto) c'è pure il danno giudiziario.

Noi over 50 disperati senza lavoro e pensione.
 Lettera aperta al governo

Signor Presidente del Consiglio, l'Italia sarà anche ripartita e sarà pure tornata la fiducia nel futuro, ma deve essere accaduto da qualche altra parte: nell'Italia che vivo io da un po'di anni a questa parte di ripartenza e fiducia non c'è traccia, la crisi è sempre buia, e se si vede una luce in fondo al tunnel è quella del treno che ti sta correndo contro.

Signor ministro del Lavoro, che fine hanno fatto le misure da lei più volte annunciate, ma sempre rinviate, per il reinserimento lavorativo degli ultracinquantenni e per anticipare il pensionamento degli over 55 che non riescono più a rientrare? Signor ministro della Giustizia, che ne è stato dell'impegno assunto solo pochi mesi fa dal governo per rendere la giustizia civile più efficiente, meno lumaca e per smaltire entro breve tempo la montagna di cause arretrate?

Chi vi scrive è una di quel mezzo milione e più persone che hanno perso il lavoro dopo i 50 anni e ora sono troppo vecchi per ritrovarlo e troppo giovani per andare in pensione. Persone che - almeno quelle che conosco - le hanno provate tutte, disposte ad adattarsi, senza puzza sotto il naso, perché il lavoro è dignità umana e sociale, indipendenza economica, libertà personale; ma che alla fine si sono dovute rassegnare e hanno smesso di cercare. Nel mio caso, poi, oltre la beffa costituzionale (articolo 4: la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto) c'è pure il danno giudiziario. Perché io, in realtà, dal 30 aprile scorso avrei già maturato i requisiti per andare in pensione, ma non posso andarci perché una parte dei contributi previdenziali che concorrono a far maturare quel diritto da ben 6 anni sono congelati da un contenzioso tra il mio Istituto di previdenza e il mio ex datore di lavoro.

Fino al 2009, per 10 anni, ho fatto il capo ufficio stampa della Provincia di Bologna con contratti co.co.co. Uno degli artifizi all'italiana. Essendo bloccati turnover e concorsi, quando la pubblica amministrazione aveva bisogno di sviluppare determinati servizi ricorreva a contratti esterni, formalmente di collaborazione ma nella sostanza di lavoro dipendente. Tanto che una ispezione dell'istituto di previdenza, l'Inpgi, a fine 2009, accertò la sussistenza di un lavoro dipendente mascherato da un contratto co.co.co. La Provincia fu sanzionata con una multa da 50mila euro e l'obbligo di versare 5 anni di contributi arretrati all'Inpgi (quelli precedenti, purtroppo, erano già prescritti). Fece ricorso in via amministrativa, ma la Commissione interregionale preposta respinse il ricorso e confermò l'accertamento dell'Inpgi.

Invece di prendere atto e adeguarsi, la Provincia fece allora una causa di lavoro contro l'Inpgi, a Roma, mentre io ne avviavo una per risarcimento danni, a Bologna. Ci voluti 4 anni solo per arrivare alla sentenza di primo grado. Il 5 dicembre 2013 il giudice del lavoro di Roma ha dato ragione all'Inpgi e torto alla Provincia, definendo "totalmente infondato" il ricorso e condannandola anche a pagare per intero le spese processuali. Ma la Provincia, che nel frattempo non c'è più, ha presentato appello. Altri due anni persi, appello fissato per il 2 dicembre 2015. Ma nei giorni scorsi il giudice - che non sa o non gli importa che io e tanti come me siamo appesi a quelle sentenze come i naufraghi all'ultimo pezzo di legno della barca affondata - ha deciso il rinvio d'ufficio: un annetto appena, al novembre 2016.

E a Bologna, dove il giudice in prima istanza non ha accolto il mio ricorso per risarcimento danni ritenendo che per il fatto che non dovevo timbrare il cartellino "non è provato che il rapporto di collaborazione si sarebbe svolto nelle forme del lavoro subordinato", l'appello inizialmente fissato al 22 gennaio 2015 è stato rinviato al febbraio 2016. Così, in un mondo che ormai cammina più sugli annunci e le percezioni che sui fatti, io oggi sono un pensionato virtuale, con buone aspettative economiche e di vita annunciate, che però ha la percezione di essere finito in un mare di guai. Ho 58 anni e, avendo cominciato a lavorare molto presto, ho 39 anni di contributi previdenziali versati. Ho una famiglia, dei figli che dovrei mantenere, il mutuo della prima casa da pagare. Da 6 anni non ho più un contratto di lavoro stabile, da tre sono senza un'occupazione, da due senza disoccupazione, costretto a versare salatissimi contributi previdenziali volontari per non perdere l'orizzonte della pensione.

Ho mandato centinaia di curriculum, presentato decine di domande, partecipato a selezioni pubbliche che poi, quasi sempre, altro non erano che bandi sartoriali cuciti addosso al predestinato di turno: tutto inutile. Ho presentato progetti editoriali, mi sono proposto per lavori con partita iva e da giornalista freelance, spesso accolti da grandi dichiarazioni di interesse... Purché non pretendessi di essere pagato. Alla fine mi sono dovuto accontentare di alcune collaborazioni mal retribuite. Tiro avanti con quelle e con i prestiti che ho dovuto chiedere per poter continuare a pagare le rate del mutuo e versare le mensilità della previdenza volontaria. Non sto a dirvi delle umiliazioni, degli effetti che queste vicende provocano sulle nostre vite, nelle relazioni, in famiglia, perfino sulla salute.

L'Inpgi contempla ancora il pensionamento anticipato con penalizzazioni dai 57 anni di età con 35 anni di contributi versati. Ma io, che ho 58 anni di età e 39 anni di contributi, in pensione non ci posso andare. Perché questo Paese è maestro nel complicare la vita ai suoi cittadini (o, almeno, a una parte di essi) e sulla previdenza ha partorito leggi assurde. Come quella che prevede per chi fa lo stesso identico mestiere ma con contratti diversi, da lavoro dipendente o autonomo, casse previdenziali separate che non dialogano tra loro e con regole d'accesso alla pensione diverse.

Tanto per restare al mio caso: io ho 30 anni di contributi giornalistici da lavoro dipendente alla gestione principale dell'Inpgi e 9 anni di contributi giornalistici alla gestione separata, sempre dell'Inpgi. Facevo il giornalista prima, quando ero assunto nei giornali e facevo il giornalista dopo, quando lavoravo come co.co.co. per la pubblica amministrazione. Nel primo caso, però, i contributi andavano alla gestione principale, nel secondo a quella separata. Ma Inpgi 1 e 2 non si possono sommare. Si può chiedere il ricongiungimento oneroso e io l'ho fatto: mi è stata chiesta la modesta somma di 360mila euro. Dal momento che non sono ricco di famiglia, ho rinunciato. Oppure si può andare in pensione con il sistema della "totalizzazione", ricongiungendo le diverse posizioni previdenziali nell'Inps. Ma in questo caso servono 40 anni e 7 mesi di contributi. Ci dovrei arrivare nella primavera del 2017. Ma quando ci arriverò, un'altra legge truffa - quella sulle "finestre d'uscita" che altro non sono che un allungamento mascherato dell'età pensionabile - mi farà aspettare altri 21 mesi, quindi fino al 2019, prima di cominciare a pagarmi la pensione. Da qui ad allora, per altri 4 anni, senza un contratto di lavoro e uno stipendio, dovrei contribuire a mantenere la mia famiglia, onorare le scadenze del mutuo prima casa, versare i contributi previdenziali volontari che mancano, pagarmi l'assicurazione sanitaria dei giornalisti. Come farò non lo so. Forse dovrò vendere l'unica ricchezza che possiedo: la casa, già ipotecata dal mutuo.

E il governo che fa, signor Presidente del Consiglio e signori Ministri? Niente. Nessuna indennità di disoccupazione o reddito minino, niente sgravi e agevolazioni fiscali. Sa solo dirci: "Arrangiatevi". E fare leggi per rinviare i pensionamenti allargando le "finestre di uscita" e aumentando le "aspettativa di vita" degli italiani. Tanto varrebbe approvarne una sulle "aspettative di morte" dei pensionandi da parte dello Stato: sarebbe meno ipocrita. Però l'Italia è ripartita, c'è più lavoro, la giustizia non è più lumaca e gli ultracinquantenni, che intanto sono diventati sessantenni, possono stare più sereni, in questo Truman show.




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